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Scritto da insiderover.com   
Mercoledì 16 Ottobre 2019 00:28


Lo strano rapporto tra noi lacché e loro prepotenti

Non soddisfatti. Trapelano sempre più dettagli sulla doppia visita del ministro della Giustizia Usa William Barr e del Procuratore John Durham a Roma del 15 agosto agosto e del 27 settembre. Barr e Durham stanno indagando sulle origini del Russiagate e su un probabile “complotto” ai danni del Presidente Usa Donald Trump tra il 2016 e il 2017. Una “cospirazione” che potrebbe coinvolgere, almeno secondo gli uomini più vicini a Trump, le agenzie Usa – Fbi, Doj – e il nostro governo dell’epoca. Pare, tuttavia, almeno secondo trapelato in questi giorni, che gli americani non siano usciti del tutto soddisfatti dall’ultimo incontro con i direttori di Dis, Aisi e Aise, Gennaro Vecchione, Mario Parente e Luciano Carta.
Secondo quanto riportato da Repubblica, c’è il timore a Palazzo Chigi che la stampa americana possa avere tra le mani e pubblicare il report degli incontri romani del ministro della Giustizia Barr. Una “carta”, sottolinea il quotidiano, che non si trova sotto il controllo delle autorità italiane e nella quale potrebbero essere sintetizzati i contenuti degli incontri romani dello scorso agosto. Secondo un’indiscrezione del Corriere della Sera, i Servizi segreti italiani avrebbero svolto le indagini per conto degli Stati Uniti, ed è  stato il direttore del Dis Gennaro Vecchione ad avviare accertamenti, su richiesta del ministro della Giustizia William Barr. Dopo l’incontro di Ferragosto, la riunione del 27 settembre scorso a Roma è servita proprio a dare conto dell’esito delle verifiche, che riguarderebbero, in particolare, il docente maltese Joseph Mifsud. Gli americani, tuttavia, non sarebbero rimasti soddisfatti delle indagini condotte dai nostri servizi segreti.
L’imbarazzo di Conte
Va tenuto presente lo scenario politico. Tra il 15 agosto – primo incontro fra Barr e i nostri servizi – e il 27 settembre in Italia cambia tutto. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ora è alleato del Partito democratico, che al 2016 era al governo, nel periodo in cui si sarebbe consumato il presunto “complotto” contro Donald Trump: ciò che Conte aveva presumibilmente promesso agli investigatori americani non può più essere mantenuto, perché i nemici di prima sono diventanti i nuovi amici e alleati. Come riporta Repubblica, infatti, correre anche solo il rischio di compromettere il rapporto con Renzi, Gentiloni, Minniti e Zingaretti equivale a minare le fondamenta del nascente esecutivo giallo-rosso. A quel punto la disponibilità concessa agli americani diventa un ritroso imbarazzo. Le richieste avanzate a ferragosto si rivelano delle pietre di inciampo. Le promesse fatte prima non possono più essere mantenute. E questo ai procuratori americani non piace per nulla.
Lo stesso Conte, stuzzicato, ha ammesso ciò che InsideOver ha scritto per mesi: l’obiettivo dell’indagine di Washington è stabilire se Roma nel 2016 – nel periodo dei governi Renzi e Gentiloni – abbia collaborato con i democratici per fabbricare false prove sul Russiagate: cosa di cui lo stesso presidente Donald Trump e i repubblicani sono più che convinti. Come riporta Repubblica, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte autorizzò l’incontro tra il capo del Dis Gennaro Vecchione e William Barr per cercare “nell’interesse dell’Italia di chiarire quali fossero le informazioni degli Stati Uniti sull’operato dei nostri Servizi all’epoca dei governi precedenti”.
La lettera di Graham
Che l’incontro del 27 settembre non sia andato benissimo lo dimostra il fatto che, qualche giorno dopo, il Senatore Lindsey Graham, vicino al Presidente degli Stati Uniti, scriva una lettera ufficiale a Italia, Regno Unito e Australia esortando gli alleati di Washington a collaborare nelle indagini. “Vi scrivo per richiedere di proseguire la cooperazione del vostro Paese con il procuratore generale William Barr, mentre il Dipartimento di giustizia continua a indagare sulle origini e l’entità dell’influenza straniera nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016”, scrive Graham. “Uno dei compiti principali del Procuratore Generale degli Stati Uniti – prosegue Lindsey Graham – è quello di supervisionare le indagini in corso del Dipartimento di Giustizia. Inoltre, come sicuramente saprete, Australia, Italia e Regno Unito si scambiano regolarmente informazioni per supportare le indagini”. Il messaggio a Giuseppe Conte è chiaro: così non va, siamo alleati e dobbiamo collaborare, dunque aiutate Barr a fare il suo lavoro e non curatevi degli attacchi del New York Times e del Washington Post. Il premier riferirà al Copasir, ma ci dirà quali sono state le richieste americane e le risposte italiane?

 

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