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Anni di piombo: non li rimuovo PDF Stampa E-mail
Scritto da Corriere della Sera Magazine   
Venerdì 10 Settembre 2004 01:00

Erri De Luca racconta Lotta Continua. E prende le distanze dallo spirito di dissociazione che coinvolge un po’ tutti: in particolare quello 0,0001 per cento di vecchi compagni, oggi dei VIP che fanno lobby di potere.

Rivoluzionario. Operaio. Muratore. Scrittore. Alpinista. Io sono «numeroso», ha detto una volta Erri De Luca, 54 anni, oggi semplicemente autore di libri di successo e arrampicatore di difficili vie dolomitiche.

Cominciamo da rivoluzionario. Quando, come, perché? Dice: «Ero di Lotta Continua e Lotta Continua era un movimento rivoluzionario. Era un movimento che credeva nelle possibilità rivoluzionarie dell¹Italia anni Settanta e che agiva di conseguenza».
Lotta Continua si sciolse nel 1976. Tu andasti a fare l¹operaio. Altri cominciarono la loro carriera. Chi nei giornali, chi nell¹industria, chi nelle televisioni.
«No, il grande blocco di quelle decine di migliaia che eravamo è rimasto lì, inapplicabile alla vita civile, inutilizzabile per i poteri. Inservibile. Tanti anni di antagonismo ci avevano reso intrattabili e inassimilabili. Molti si sono demoliti con le droghe, altri sono entrati nelle formazioni armate. Ma la gran parte sono rimasti lì, nei mestieri che facevano, insegnanti, operai».
Marcenaro, Rinaldi, Liguori, Lerner, Capuozzo, Briglia, Pietrostefani, Sofri, Ravera, Deaglio «operai»?
«Alcuni sono riusciti a entrare in un circuito di visibilità e di rappresentanza. Ma sono quelli che numericamente, nelle analisi organolettiche, vengono chiamati ”trace”. Zero virgola zero zero zero zero uno».
E la grande parte, il nove virgola nove nove nove nove?
«Sono rimasti lì dove erano, senza fare né carriera né fortuna. Desaparecidos, politicamente assenti. Quelli che sono al potere oggi sono quelli che erano latitanti ai tempi di Lotta Continua. Disertori».
Tracce, dici tu. Ma tracce molto visibili.
«Tracce fastidiosamente visibili».
E sono andati dovunque. A destra, a sinistra?
«Io non faccio tanta differenza tra il dovunque di Liguori e quello di Deaglio».
La scelta di Deaglio sembra più coerente.
«Per me non fa differenza se uno va con i socialisti e l¹altro con i democristiani».
Tu hai continuato ad avere rapporti con quelli di Lotta Continua?
«Ho rapporti con un mucchio di compagni che vengono da lì e che nessuno conosce. Più a lungo di questi militi ignoti ho avuto rapporti con Ovidio Bompressi. Siamo stati amici per la pelle».
Le tue origini sono borghesi o proletarie?

«Un misto. La mia era una famiglia borghese impoverita dalla guerra. Abitavamo in un quartiere popolare di Napoli. Un’infanzia da bambino povero col fastidio di essere comunque un privilegiato, uno che a sei anni andava a scuola invece che a lavorare, che non andava scalzo, che in classe non era rasato a zero per via dei pidocchi, che parlava italiano e non napoletano».

Amori napoletani?

«Nessuno. Napoli mi ha dato altri sentimenti, le collere, le vergogne, lo schifo, le commozioni. Sentimenti fondanti, di quelli che ti attrezzano il sistema nervoso».
Ad un certo punto hai mollato tutto.
«Me ne sono andato a 17 anni, come un evaso, non sapevo niente di quello che c’era fuori, non sapevo che esisteva una generazione che si stava muovendo, ci sono finito dentro per cooptazione perché era lì, era in mezzo alle strade».

Cos’è che ti soffocava a Napoli?

 

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